Appello per una “medicina di confronto”

Questo è un appello del dott. Mario Savino, a colleghi e non, per svegliarsi dal torpore e prendere in mano la situazione senza delegare. Un invito a ragionare, alla responsabilità e all'etica.

Pubblichiamo la lettera-appello del dott. Mario Savino, medico specialista urologo presso l’Ospedale di Campostaggia di Colle di Val d’Elsa (Siena), che ho il piacere di conoscere personalmente. È un appello indirizzato ai colleghi, e non solo, alla riflessione su questa realtà imperante di pensiero unico, di scienza dogmatica, di etica professionale ingabbiata in un modus operandi imposto che disattende i principi del Giuramento di Ippocrate, cui tutti i medici dovrebbero riferirsi nell’esercizio della professione.

Il dubbio e il dialogo sono il sale della Scienza e Consensus Ars Medica ne vuole essere l’espressione, condividendo e sottoscrivendo questo appello affinché trovi la massima diffusione.

Appello per una "medicina di confronto"
Appello per una “medicina di confronto” – dott. Mario Savino

Questo appello è rivolto a tutti coloro che abbiano dubbi piuttosto che certezze. 

E’ rivolto in particolare a chi si occupa da sempre di salute, di cura, di malattie ma soprattutto di malati.

È un appello per medici, infermieri, personale del mondo della sanità di ogni genere; è rivolto a loro in particolare perché sanno per esperienza diretta che prendersi cura di un malato va ben oltre l’applicazione diligente di protocolli e spesso non si realizza semplicemente facendo richiami nozionistici agli studi effettuati. 

È un richiamo alla loro intelligenza, alla loro coscienza capace di discernere di volta in volta come modellare la scienza a strumento di cura efficace.

È una scossa che spera di sbrinare il torpore che ci avvolge.     

Questo appello non fa discriminazioni, è per tutti. 

È per i vaccinati convinti, ma anche per tutti coloro che non lo erano fino in fondo. 

Per coloro che hanno preferito farlo per non incappare in fastidiose discussioni, che sono stati invitati caldamente dai propri superiori, che hanno temuto per il proprio posto di lavoro, o che hanno temuto (ahime!) per le proprie vacanze. 

È un appello anche per chi non si è vaccinato e che sceglierà di non farlo mai.

Ragioniamo e cerchiamo di farlo in questi giorni che i numeri sembrano darci tregua così da costruire qualcosa per quelli a venire. Ragioniamo e cerchiamo di trasformare la crisi in un’opportunità di crescita reale. 

Se, voltandovi indietro a riguardare gli ultimi 12 mesi, vi venissero dei dubbi su quanto sta accadendo (la pandemia, la gestione sanitaria, le curve, gli indici) non scrollate le spalle delegando a qualcun altro la competenza di decidere per voi. Non sono solo virologi o infettivologi ad avere il primato assoluto della discussione in questa materia. I dubbi e le proposte legittime hanno dignità di esistere comunque.

Dal cilindro dei perché tiriamo fuori tutte le domande, da quelle fondamentali a quelle apparentemente banali.

Sembreranno domande confuse solo ad un primo sguardo, ognuna di loro è comunque legata alla successiva. 

E così la prima: la maggior parte dei medici sono dei clinici, la guarigione dei loro pazienti dipende dalla cura impartita per quella determinata condizione. Perché per tutti quelli che si sono ammalati in questa pandemia non è stata proposta una terapia coordinata? Ha senso vaccinare un’intera popolazione contro un virus che per sua natura varia continuamente? Ha senso estendere la vaccinazione ai ragazzi (asintomatici la stragrande maggioranza) senza aver considerato i potenziali effetti collaterali non del tutto ancora chiariti? Che senso ha limitare la circolazione delle persone non vaccinate se i vaccinati possono essere comunque veicolo di contagio? 

E come verranno considerati coloro che, pur volendosi vaccinare, non avranno potuto farlo per ragioni di salute individuale? Cosa si deve salvaguardare la sostanza o le apparenze? Affrontando la sostanza del problema appunto, e non accecati dalle apparenze, una cura tempestiva e determinata con criterio non contribuirebbe a ridurre gli accessi in ospedale e alle terapie intensive, e, in definitiva, non ridurrebbe il rischio di nuove chiusure generalizzate? 

Se oltre alla preoccupazione sanitaria, si cerca di impedire un tracollo economico determinato proprio dalle restrizioni, quella della cura non avrebbe diritto di essere pianificata come soluzione?

La vaccinazione è da intendersi come prevenzione, non come cura in ogni modo, giusto? 

In questo appello non ci sono le risposte a tutti questi perché. Non ci sono pregiudizi. Ci sono domande frequenti, sulla bocca e nella mente di molti che non hanno trovato possibilità di libera espressione e risposta. 

La scienza moderna alla quale si fa richiamo con tanto ardore nasce, ricordiamolo, ed è fondata sul dubbio non certo sul dogma o sull’assoluto. Nasce dall’istintivo desiderio di dare risposte a domande impopolari, assurde, a volte fuori contesto. Ma capaci di far spostare il punto di vista di quel tanto da consentire di osservare il fenomeno da un’altra prospettiva, con la possibilità di illuminare ciò che sembrava nascosto o addirittura invisibile. 

Raccogliamo le idee dunque. Siamo propositivi. È nostro dovere chiedere spiegazioni, ragionare, costruire una strategia e cucirla addosso in maniera differente paziente per paziente. 

Non lasciamoci offuscare dai vincoli dei protocolli. Agiamo con scienza e coscienza. Affianchiamo alla nostra preparazione il nostro sentire, senza svilirlo perché sinonimo di emozione, di empatia, di personalismo. 

La cura delle persone, prima che della malattia, fanno della medicina un’arte. 

Impegniamoci senza tregua quindi in ciò di cui siamo convinti, in ciò in cui crediamo, senza subordinare nemmeno il nostro più piccolo e insignificante gesto al timore del giudizio altrui, di sembrare fuori dal coro, all’indifferenza che spesso si nasconde dietro alle impersonali e anonime valutazioni statistiche. ‘Primum non nocere’.

I numeri calano, questo ci raccontano, le vacanze sono alle porte e ne abbiamo tutti bisogno. Ma non spegniamo il cervello per questo. Non facciamoci trovare ancora una volta impreparati, sorpresi. Sfruttiamo la tregua per affrontare quelle domande con la giusta calma, per provare a costruire un piano alternativo. Non facciamoci avvolgere nuovamente dalle spire di quel vortice che ci impedisce di respirare, di ragionare. Non possiamo delegare ad altri questo compito. Siamo noi che ce ne dobbiamo occupare. La salute della gente, degli impiegati, dei bancari, degli agricoltori, degli operai, dei nostri genitori, dei nostri nonni e soprattutto dei nostri figli dipende da noi. 

E dalla forza che avremo in questo momento.

Mario Savino

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Roberto Gabbrielli
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